La domenica dell'eternità

Predicazione su Isaia 65, 17-25

Predicazione tenuta dal prof. Emidio Campi presso la Zwinglikirche, domenica 21 novembre 2021

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Edward Hicks, "Peaceable Kingdom", 1834. Oil on canvas, National Gallery of Art, Washington, DC.

Cara comunità,

abbiamo udito i nomi delle sorelle e dei fratelli che sono deceduti nel corso di questo anno liturgico che si chiude oggi, la domenica dell’eternità. Per ogni nome c’è un inizio – in Dio – e una fine - in Dio. Nel mezzo c’è una vita. Una vita più o meno lunga. Una vita fatta di speranze e delusioni, gioie e dolori, benessere e ristrettezze. Una vita in cui ci sembra a volte di volare alto e a volte di portare un fardello troppo pesante.

Come comunità ci stringiamo intorno a coloro che sono stati toccati dal lutto e insieme chiediamo a Dio, l'inizio e la fine di ogni vita, sostegno e consolazione, per potere superare la tristezza della separazione. Lo facciamo meditando sulle parole del profeta Isaia 65,17-19(20-22)23-25.

17 Poiché, ecco, io creo nuovi cieli
e una nuova terra;
non ci si ricorderà più delle cose di prima;
esse non torneranno più in memoria.

18 Gioite, sì, esultate in eterno
per quanto io sto per creare;
poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio,
e il suo popolo per la gioia.

19 Io esulterò a motivo di Gerusalemme
e gioirò del mio popolo;
là non si udranno più
voci di pianto né grida d'angoscia;

23 Non si affaticheranno invano,
non avranno più figli per vederli morire all'improvviso;
poiché saranno la discendenza dei benedetti del SIGNORE
e i loro rampolli staranno con essi.

24 Avverrà che, prima che m'invochino, io risponderò;
parleranno ancora, che già li avrò esauditi.

25 Il lupo e l'agnello pascoleranno assieme,
il leone mangerà il foraggio come il bue,
e il serpente si nutrirà di polvere.
Non si farà né male né danno
su tutto il mio monte santo,

dice il SIGNORE.

Il popolo del regno di Giuda, a cui si rivolgeva il profeta, è un popolo che ha sofferto la guerra, è stato sconfitto e deportato a Babilonia (587 a.C.). Anche se godevano di qualche privilegio, come la amministrazione autonoma della giustizia e il libero esercizio del commercio, erano pur sempre degli schiavi. Dal punto di vista spirituale, molti di loro erano scesi a compromesso con la fede ebraica a favore del culto idolatrico babilonese.

Dopo circa 50 anni di prigionia, Babilonia fu a sua volta sconfitta dal re Ciro (539 a.C.), fondatore del regno dei Persiani, che consentì il rientro in Palestina degli Ebrei. Gli esuli trovarono all’arrivo un paese devastato: campagne incolte per tanti anni che non fornivano nulla da mangiare, case saccheggiate e incendiate, il Tempio distrutto. Si doveva ricominciare da zero, tutto doveva essere ricostruito.

Possiamo immaginare il loro stato d’animo, pensando all’Europa dopo la II guerra mondiale, o all’ Afghanistan, la Siria di oggi. Sono persone non solo traumatizzate dal ricordo degli anni dell’esilio, ma anche demoralizzate dal difficile, quasi impossibile compito della ricostruzione e per giunta dubbiose sul loro futuro. Sia pure con le dovute differenze, anche noi siamo delle persone traumatizzate dal lutto, demoralizzate da pensieri negativi che ci ronzano nella mente e dubbiose circa il futuro che ci attende.

La psicologia ci insegna che in casi del genere negli esseri umani scatta quasi automaticamente il meccanismo inconscio della rimozione o della memoria selettiva: cioè si ricorda solo quello che si vuole ricordare. Oppure mettono in atto un altro meccanismo di difesa, a cui invece partecipano attivamente: l’idealizzazione del passato che ha un impatto sul presente in quanto esclude qualsiasi prospettiva di cambiamento. Quante volte sentiamo ripetere nei funerali le frasi: “vedrai, il tempo lenisce le ferite”, oppure: “Ricorda i momenti belli, ti terranno in vita”.

Il profeta Isaia dice esattamente il contrario di quello che pensavano gli Ebrei ritornati dall’esilio e altresì quello che continuiamo a ripetere anche noi oggi. Egli rassicura queste persone devastate da una tragedia immane con le parole: "non ci si ricorderà più delle cose di prima; esse non torneranno più in memoria" (65:17). Provate a rivolgerle ad un genitore che ha perso un figlio in un banale incidente automobilistico, o a un marito che ha perso la moglie curata amorevolmente per tanto tempo. Ci vuole davvero un bel coraggio e un motivo molto convincente per proferire queste parole.

A ben guardare, la motivazione che Isaia adduce non solo è coraggiosa, ma è affatto diversa dalle nostre consuete formule di consolazione. In sostanza egli dice: Tutto ciò che avete vissuto -  il terrore dell'invasione babilonese, la perdita dei vostri cari, dei vostri beni, la distruzione del tempio di Gerusalemme - non sarà più ricordato, perché Dio sta creando "nuovi cieli e una nuova terra"perché stiamo andando verso la realizzazione del disegno di grazia di Dio verso l’umanità. Non è il caso di guarire i traumi attraverso un meccanismo di rimozione o di idealizzazione del passato, né di rinchiuderci scoraggiati nel nostro guscio per timore di un futuro incerto. Io vi annunzio oggi una realtà completamente diversa: “Gioite, sì, esultate in eterno per quanto io sto per creare”. Queste parole del profeta sono paragonabili al processo di riconfigurazione di un computer. Quando noi configuriamo o riconfiguriamo il nostro computer modifichiamo le caratteristiche funzionali del sistema operativo, impostando nuovi parametri d’utenza. Ebbene, così è con questa promessa del Signore. Essa riconfigura e cambia tutto ciò che Israele aveva saputo della propria storia e della propria identità.

Era stato un popolo soggetto agli imperi Assiro e Babilonese e sull'orlo dell'estinzione. Ma ora sappia che non dovrà più sperimentare l’angoscia di una guerra, non ci sarà più l’esilio in schiavitù. Le case dirupate, - dice il Signore - saranno ricostruite e abitate; i vigneti saranno piantati e i loro frutti goduti e i “giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi". È bella questa immagine. È come se dicesse: il mio popolo godrà giorni lunghi e sereni, come quelli di un albero secolare, possente e rigoglioso

Non solo, il profeta aggiunge anche: “Avverrà che, prima che m'invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi”. Che perla preziosa si nasconde dietro queste parole. Da sempre la preghiera costituisce un crocevia privilegiato nel quale Dio e la creatura umana s’incontrano. Ma chi potrà mai avere la certezza che la propria preghiera sia stata esaudita? Ebbene qui viene annunziata la buona novella: prima ancora che voi chiederete, io vi avrò esaudito. Il Signore promette cioè di vivere accanto a noi sempre e in ogni circostanza, nella buona e nella cattiva sorte.

E poi continua: “Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi”, cioè non ci saranno più sopraffazioni, abusi né arroganze del potente di turno.

Il lupo e l’agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà il foraggio come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere”. Significa che arriverà un giorno in cui non ci sarà più il darwinismo sociale, il dominio dei pochi più forti sui tanti deboli, in cui non ci sarà più – aggiungiamo – violenza contro le donne, non ci sarà più la discriminazione basata sull'identità di genere o sul colore della pelle.

Altro che vivere rimuovendo o idealizzando il passato, altro che rinchiudersi in un cantuccio a leccarsi le ferite. Piuttosto c’è da rimboccarsi le maniche e guardare al futuro, a ciò che il Signore sta preparando per l’umanità, contribuendo alla realizzazione del suo disegno di grazia.

Fratelli e sorelle mie. Queste non sono fantasticherie di sognatori e acchiappanuvole. È una promessa di ciò che avverrà e al tempo stesso una descrizione di ciò che si sta già compiendo sotto i nostri occhi. In maniera silenziosa ma efficace essa si realizza laddove discepoli e discepole del Signore rifiutano la fatalità del male e dell’ingiustizia, l’uso della prepotenza e della violenza per risolvere i rapporti umani e mostrano che vi è possibilità di rinascita, che si possono riparare le brecce, si possono battere nuove vie. È una promessa che ci aiuta a vivere e affrontare il dramma supremo e la sfida più difficile: la morte. È il vero balsamo che serve a lenire e superare positivamente il dolore del lutto, utilizzando la vita che ci è data di vivere per amare come siamo stati amati da Dio e per dare come abbiamo ricevuto da Dio.

Per concludere, vorrei raccontarvi un aneddoto che ho letto da qualche parte: Un uccellino è sdraiato per terra con le zampe in aria. Un elefante si avvicina e gli chiede: “Che stai facendo?” L’uccellino risponde: “Ho sentito che il cielo stava cadendo sulla terra e volevo reggerlo con le gambe in modo che le persone non si facessero male”. Il grande elefante ride rumorosamente e dice: “Pensi di trattenere il cielo con i tuoi pedini?” E l’uccellino risponde: “Cerco di fare quello che posso”.

Il Signore ci aiuti a fare quel che possiamo per la realizzazione dei “nuovi cieli e della nuova terra” per l’umanità.

Amen

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